Parte 2
La sveglia suona, sono le 1.30 del mattino. Sciogliamo un po di neve per bere del caffè caldo.
Il piede sinistro è gonfio e dolorante per via del congelamento del giorno precedente.
Gli scarponi sono fradici e gelidi. I piedi stentano ad entrare…
Finiamo di fare colazione e di sistemare zaino e coperte.
Usciamo nella fredda e stellata notte del Monte Bianco per calarci sul ghiacciaio del Bruillard da dove parte il canale che sale al Colle Eccles. Dal Colle scendiamo per il Couloir Eccles e siamo nuovamente sul ghiacciaio del Freney.
Il freddo ha fortunatamente fatto il suo lavoro, la neve è perfettamente rigelata e sulla nostra traccia fatta il giorno prima si cammina bene.
In meno di un ora siamo sotto la terminale del Grand Pilier d’Angle, la superiamo e puntiamo alla rocce.
Procediamo a tiri alterni, la luce dei frontali ci illumina la via di salita tra neve e salti di roccia.
Zizzaghiamo lungo la parte bassa della parete ovest per trovare i passaggi più facili. Obliquando verso destra arriviamo sullo spigolo sud.
Il crepuscolo inizia a schiarire il cielo, mentre i piedi fermi in sosta gelano inevitabilmente negli scarponi fradici.
Aggiriamo lo spigolo, sotto di noi c’è il ghiacciaio della Brenva e nella valle sottostante Courmayeur ci guarda assonnata.
L’Aiguille Blanche è colorata di rosa e non pare più la belva feroce che abbiamo scalato ieri.
Di fronte a noi iniziamo a vedere il Monte Bianco di Courmayeur, con la sua caratteristica pala nevosa ove passa proprio la Cresta di Peuterey.
Continuiamo a salire, passo dopo passo, mentre il ticchettio dei ramponi sulla roccia suona un ritmo costante.
I piedi sono duri come blocchi di ghiaccio e le mani sono gelide, ma siamo in vetta al Grand Pilier d’Angle 4243m.
La vista è incredibile, la via che stiamo salendo è incredibile e le condizioni del Monte Bianco, oggi, sono incredibili.
Una foto e proseguiamo.
Traversiamo lungamente su una lingua ghiacciata di neve e puntiamo al Bianco.
La Cresta di Peuterey si impenna, ancora 400m di dislivello e saremo sulla vetta più alta delle Alpi.
Saliamo veloci, il sole ormai si è levato in cielo e ci scalda dolcemente.
Picca, picca, rampone e rampone. Picca,picca, rampone e rampone.
Superiamo la grande cornice di vetta e ci siamo 4748m, Monte Bianco di Courmayeur.
Sulla cima tira un gelido vento da nord-ovest.
Pochi secondi e guanti, pantaloni e scarponi bagnati si gelano nuovamente. Blocchi di ghiaccio.
Freddo e il vento non riescono però a congelare la nostra felicità per la bella salita effettuata.
A poche centinaia di metri da noi c’è la Cima del Monte Bianco (la classica) 4810m, sulla vetta ci sono alcune cordate, salite dalla Via Normale, le raggiungiamo, qualche saluto, una foto e via.
Non perdiamo tempo, scendiamo verso la Capanna Vallot, la normale francese è molto frequentata e incrociamo diverse cordate che stanno salendo verso la vetta.
Puntiamo al Dome de Gouter 4304m, una gobba di neve che è difficile capire come mai sia stata inserita nella lista dei 4000 ufficiali.
I piedi iniziano a fare molto male, il ritorno della circolazione sanguinea inizia a pungere, il piede sinistro si gonfia e sembra che voglia esplodere all’interno dello scarpone.
Stringo i denti, la giornata è ancora lunga, resta da salire l’Aiguille de Bionassay, ma soprattutto scendere la lunghissima normale italiana che dal rifugio Gonnella scende in Val Veny.
La Bionassay è tracciata, un lungo sottile filo di neve, molto estetico ed affilato che taglia il cielo tra Italia e Francia.
Un gioco di equilibrio ove inciamparsi nei propri pantaloni potrebbe essere un errore fatale.
Andiamo e torniamo dalle lunga cresta nevosa e torniamo sulla via di discesa verso il Gonnella.
È quasi mezzogiorno, abbiamo salito 5 vette da 4000m e il morale è alle stelle nonostante la stanchezza e i piedi doloranti.
Cerchiamo di percorre il lungo e crepacciato ghiacciaio che porta al rifugio.
La temperatura è calda, la neve fradicia e i buchi enormi.
In poco più di un ora siamo al Rifugio Gonnella e ne approfittiamo per “pranzare”, una birretta e un panino col formaggio prima di affrontare un eterna discesa verso la Val Veny.
Il rifugio è arroccato su uno sperone roccioso, dal quale si scende lungo un sentiero attrezzato.
Si arriva sul pianeggiante Ghiacciaio del Miage, prima nevoso e poi ricoperto di detriti.
L’ambiente è selvaggio e grandioso, a dir poco affascinante, ma l’atroce dolore al piede non mi permette di apprezzare tutta quella bellezza.
Anzi sto odiando quell’infinita morena dove non riesco a camminare.
Tutte le pietre si muovono sotto ai piedi e le continue torsioni della pianta mi fanno soffrire in modo atroce.
La mente comanda. Inghiotto ogni volta che vorrei urlare e cammino.
“Non può durare per sempre questo sentiero”, mi ripeto tra me e me.
“Arriverà anche l’asfalto”.
Alle 17 siamo al furgone, sembra un miraggio, oasi di salvezza.
Posso togliere lo scarpone e decomprimere il piede martoriato.
Nonostante la grande stanchezza e gli acciacchi che i 68 4000 saliti iniziano a imprimere sui nostri corpi, riusciamo a sorridere per la grandiosa giornata di alpinismo appena vissuta.
Ci godiamo una birra, un bel piatto di tagliatelle al ragù e poche ore di riposo, prima di salire il mitico Cervino.
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