41 ore di Leggendario alpinismo
Parte 2
1.30 di notte suona la sveglia, prendiamo le nostre cose e ci spostiamo nel corridoio per finire di preparare lo zaino senza disturbare la gente che dorme in stanza.
Alle 2.00 facciamo colazione.
Sorseggio il caffè e mangio del pane e Nutella.
La testa fa male, parecchio.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio, è tutto gonfio. Addirittura vedo un po’ appannato dall’occhio sinistro. Mi riguardo allo specchio e sospiro.
Nicola mi chiede come sto: “benone” rispondo.
Mi aiuta a coprire la ferita con un cerotto, mettiamo gli zaini in spalla e siamo di nuovo sul ghiacciaio del Monte Bianco, nell’oscurità della notte.
Le gambe girano lente, il passo e il fiato sono imballati. Camminiamo sul bordo della traccia che porta verso il Dente del Gigante. Il rigelo non è perfetto, ma almeno non sfondiamo fino alle ginocchia.
Impieghiamo più tempo del previsto per raggiungere la “gengiva” la base del Dente. La traccia lungo la Cresta di Rochefort è perfetta, larga a sufficienza per camminare veloci e sicuri, ma soprattutto la neve su cui appoggiamo i ramponi è dura e non cede.
Nella mente scorrono le parole del libro di Ueli, dove proprio lungo questo affilato filo di neve ha perso un compagno durante la sua scalata degli 82 4000 delle Alpi.
La nostra frontale illumina solo la neve vicino ai nostri piedi mentre il buio nasconde l’abisso che ci circonda.
Nel fondo valle, sotto di noi, brillano le luci dei lampioni di Courmayeur che dorme ancora. Sulle creste del Monte Bianco vediamo muoversi qualche frontale. Ci sentiamo meno soli anche se quegli alpinisti sono molto distanti da noi.
È ancora notte mentre raggiungiamo la cima dell’Aiguille de Rochefort, il primo dei 7 4000 che costituiscono la Traversata integrale delle Grandes Jorasses.
Siamo stupiti quando vediamo delle tracce che scendono dall’Aiguille e proseguono verso il Dome de Rochefort.
“Non siamo gli unici oggi sulle Jorasses…” dico a Nicola.
“Basta che non ci sia la coda…” mi risponde, con tono ironico.
Si vedeva che era il passaggio di sole due persone.
Armando, il gestore del Rifugio Torino, non sapeva di nessuna cordata che si era inoltrata verso la Traversata, ma per noi, trovare almeno una volta la traccia, è stato piacevole.
Saliamo anche il Dome di Rochefort cercando di non muovere nulla e proseguiamo in direzione Bivacco Canzio.
Disarrampichiamo su neve, traversiamo affilate creste di roccia, un paio di brevi doppie e siamo sul ultimo dosso da dove vediamo il bivacco.
Due persone hanno appena iniziato a salire la Punta Young, ma purtroppo hanno sbagliato l’attacco della via e si stanno infilando lungo il canale che solca la parte bassa della parete.
“Hanno sbagliato ” dico a Nicola.
“Bisogna stare sulle placche a sinistra, dove passa quella fessura “.
Ho percorso la Traversata delle Jorasses nell’estate del 2020 insieme a Gessica e ricordo perfettamente le difficili placche di IV grado. Quest’anno purtroppo le condizioni sono nettamente peggiori.
La Young presenta ancora tanta neve e le fessure sono piene di ghiaccio.
Punta Margherita e Punta Elena idem. Dalla Croz in poi la neve copre le facili cenge di passaggio e una grande cornice si getta verso la parete nord. L’anno scorso la cresta era pulita dalla neve e si percorreva interamente senza ramponi…
Siamo al bivacco Canzio, sono le 7 del mattino, beviamo qualcosa, mangiamo e facciamo una telefonata.
Si riparte.
La cordata di alpinisti che ci precedeva è proprio sopra di noi. Si sono calati e ora sono alla sosta del primo tiro.
I due arrivano dalla Repubblica Ceca e non si sono informati sulle condizioni della Cresta.
Sono contenti di vederci, sono stupiti di essere soli e soprattutto ci lasciano subito passare avanti per capire dove bisogna passare lungo le difficili placche della Young.
Ringraziamo, salutiamo e andiamo.
Purtroppo siamo nettamente più veloci di loro e in poco tempo ci perdono d’occhio.
Il lato nord ovest della Young è ricoperto di neve e ghiaccio e per salire fino in cima bisogna scalare una via di misto abbastanza delicata.
Traversiamo sul filo espostissimo di roccia, ci caliamo e traversiamo ancora fino sotto la Punta Margherita. Ancora neve e ghiaccio e poi roccia, un susseguirsi di movimenti vari, alla ricerca del facile nel difficile.
Probabilmente il difficile stà nel rimanere sempre concentrati perché decidiamo di scalare in conserva per provare ad essere più veloci.
Qualche protezione, spuntoni e via.
La testa entra in uno stato di trans, tutto è ovattato e il tempo pare non scorrere mai. Una dimensione surreale.
Scaliamo in su e in giù per guglie affilate, mentre i piedi iniziano a fare irrimediabilmente male. I ramponi, con la loro leva svantaggiosa, non offrono compromessi. Dobbiamo stringere i denti e continuare a scalare.
Una volta salita la Punta Croz affondiamo i piedi nella neve marcia della cornice sospesa sopra la parete nord. È tardi, la Punta Whymper è davanti a noi e il terreno a questo punto è facile.
Siamo fuori dalle difficoltà tecniche vere e proprie,ma non ci sentiamo riquorati.
Fisicamente siamo stanchissimi e siamo coscienti che la discesa sarà lunga e difficile con tutta quella neve e rispetto ai nostri programmi abbiamo 2 ore di ritardo.
Sono le 14.00 e siamo sulla Punta Walker 4208m.
Il tempo di bere quel poco che resta nella borraccia e scendiamo lungo la via normale. Puntiamo diretti lungo uno sperone roccioso a sinistra dell’enorme seracco che caratterizza la Walker.
Per velocizzare la discesa ci prendiamo qualche rischio ed entriamo in un ripido canale che scende fin sopra la terminale.
La neve ha inaspettatamente una consistenza ottima e riusciamo ad essere svelti. Quando guardiamo cosa abbiamo sopra la testa…bhe… perfortuna siamo veloci.
Arriviamo sul bordo della grande crepaccia terminale, rincorsa e… “Jump” un salto di un paio di metri e un soffice atterraggio nella neve molla.
Siamo proprio sotto al gigantesco seracco strapiombante della Walker, Nicola mi guarda e ridendo mi dice: ” Ecco, un posto dove non impiantare la tenda”.
Prendiamo la rincorsa e cerchiamo di camminare il più velocemente possibile nella neve fradicia.
Sfondiamo fino al cavallo, ogni tanto guardiamo il mostro e speriamo.
“Con tutti i momenti che può scaricare, non lo farà mica ora…” penso, mentre annaspo nella neve bagnata.
Minuti interminabili, fino a raggiungere le Rocheuse Whymper.
5 doppie e siamo sulla lingua di ghiaccio che scende dalla Croz. Legatura lunghissima e giù fino all’altro scoglio roccioso che porta sull’ultimo ghiacciaio prima del Rifugio Boccalatte.
Sono le 16.30 sentiamo voci sulla cresta e vediamo con dispiacere la cordata dei Cechi sulla Punta Margherita. È tardissimo, saranno costretti a bivaccare chissà dove.
Nel frattempo mettiamo i piedi nell’ultimo tratto di ghiacciaio, un susseguirsi di crepacci coperti da tanta neve che ormai non regge più il nostro peso. Qua e là ci sentiamo inghiottire dalle tenebre, ma la corda tesa limita i danni a inquietanti paure.
Finalmente siamo sul nevaio finale. Sono le 17.20, chiamo Gessica che è in pensiero.
Togliamo ramponi, corda e imbrago.
Sembra di essere liberi.
Da li sotto i verticali pilastri rocciosi della Grandes Jorasses fanno ancora più impressione.
Un ultima foto e corriamo verso la Val Ferret.
La Svizzera ci attende per scalare gli ultimi 2 4000 del nostro viaggio.