Parte 1
Inizia sempre tutto controllando le condizioni meteo.
Abbiamo la necessità che le temperature siano fredde per poter andare a scalare i ripidi couloir che portano sulle mitiche sommità francesi.
Da queste parti dicono che non sei un vero “Montagnard” (alpinista) se non hai mai scalato la Verte e ora abbiamo capito perché.
Ma partiamo dal principio.
Dopo aver attraversato la mistica cresta del Taschhorn – Dom, il meteo pare che ci regali una sola finestra per provare a salire le 4 vette francesi.
Ci portiamo in zona Chamonix e dopo aver assaporato mezza giornata di riposo prendiamo il trenino del Montenvers che sale verso la Mer de Glace.
Quella che in passato fu una splendente lingua glaciale che scendeva dal Monte Bianco ora è un triste ghiacciaio morente.
Mentre cammino sul ghiaccio nero ricoperto dai detriti penso alle generazioni future e a cosa gli resterà di tutto questo…
Il pensiero mi rattrista e silenzioso, passo dopo passo, avanzo in direzione Grandes Jorasses.
Sulla destra orografica del ghiacciaio un bidone di ferro con una freccia rossa e la scritta Couvercle ci segnala la direzione corretta per l’approccio al rifugio.
Il Couvercle è in ristrutturazione da ormai un paio di stagioni quindi soggiorneremo nel locale invernale, che speriamo sia abbastanza decente.
Lo zaino pesa, dovendo cucinarci qualcosa abbiamo con noi fornelletto, pasti liofilizzati e colazioni.
Questa volta abbiamo anche 2 piccozze a testa, come consigliato dalle guide descrittive.
Arriviamo, arrancando lungo i fianchi detritici della morena, alla base di una liscissima placca di granito… alziamo il naso e una serie infinita di scale verticali sale verso il cielo.
“Ah però…sti francesi”, commentiamo, “non scherzano mica!”.
Saliamo tra scale, gradini, rampe di erba, corrimani, rocce e roccette, per almeno due ore.
Il Couvercle sembra non arrivare mai, mentre un timido sole inghiottito dalle nuvole lascia spazio alla nebbia e all’umidità.
Arriviamo su un altipiano erboso, e poco lontano da noi si intravede la struttura del rifugio e il rumore degli operai al lavoro.
La visione è rincuorate. La stanchezza accumulata dalle tante ascensioni e dal troppo dislivello attanaglia le gambe e i pensieri.
Nulla è più lucido e vispo, tendiamo a scorrere come all’interno di un fluido, ormai è l’abbrivio che muove le nostre giornate.
Il locale invernale del Couvercle è una struttura esteticamente brutta, ma nel complesso funzionale.
Costruito sotto a un enorme scaglia di granito che funge da super tetto e lo ripara da neve e valanghe, il bivacco ha due stanze, dormitorio (20 posti) e refettorio, costituito da un divano, un tavolo, due panche, e la stufa a legna… con la legna.
Quando arriviamo al bivacco, troviamo all’interno due ragazzi.
Sembra quasi strano per noi avere compagnia, ma ci fa piacere. Salutiamo e ci sistemiamo.
Dopo qualche scambio di battuta i due ci dicono: “Perfortuna non siete due francesi…”
Justin è una giovane guida svizzera di grande tradizione familiare e con lui c’è Nico, un suo caro amico.
Ci spiegano che all’indomani volevano salire Les Droites e cavalcare tutta la cresta che collega le 4 cime, bivaccando sotto la Verte.
Io e Nicola ci guardiamo, non avevamo preso in considerazione questa soluzione e siamo incuriositi dal loro progetto.
Le previsioni meteo non danno una grande giornata per il giovedì 1 luglio, ma i due svizzeri sono decisi e convinti e gli chiediamo di poter scalare con loro la cresta, con l’unica eccezione che non avendo il materiale da bivacco avremmo fatto una no-stop fino al rifugio.
Eravamo tutti e quattro esaltati da questa avventura, per Justin era un sogno scalare la Verte, perché da casa può osservare la sua vetta ogni giorno.
Puntiamo la sveglia alle 2.00 e andiamo a dormire.
Al nostro risveglio, fuori dal bivacco piove.
Pochi metri di visibilità e un triste caldo umido condisce un risveglio aberrante.
Mi girano notevolmente le palle”, facciamo comunque colazione, il silenzio regna sovrano e copre il nervosismo comune.
Justin e Nico mettono lo zaino in spalla e ci guardano: “Non venite?”
“Piove Justin, è una follia!”, gli rispondo sconsolato.
“Noi ci proviamo”, mi risponde. Un saluto e si incamminano nella notte.
Questa volta è troppo, abbiamo lottato giorni contro il vento, la neve non portante, il freddo, le rocce sporche di ghiaccio, e ora anche la pioggia!
Non ce la faccio, tolgo gli scarponi e con Nicola decidiamo di aspettare un ora.
Che poi… cosa sarà un ora!?!
Chiudo gli occhi e dormo.
Alle 4.00 siamo fuori dal bivacco, piove e la notte ci mastica mentre lentamente saliamo il pendio nevoso che porta verso Les Droites.
Il progetto di salire la cresta per noi è sfumato.
Cerchiamo di raggiungere la vetta del 4000 più basso delle Alpi, per segnare un’altra salita sul nostro elenco.
Sopra i 3000m la pioggia si fa neve e il chiarore delle prime luci ci mostra solo roccie sommerse di candida farinosa polvere.
Saliamo il canale obliquo che conduce allo sperone roccioso della montagna.
I ramponi ravanano tra ghiaia, sassi e blocchi di granito. Raggiungiamo i due svizzeri che nel frattempo, nella nebbia hanno fatto la traccia fino a qui.
Justin sta lottando con un difficile passaggio di roccia. Placche e fessure di granito e poi bianco.
È difficile capire dove siamo, non resta altro che scalare duro e provare ad uscire da quel posto.
Più in alto, tra le nuvole, uno spiraglio di luce ci permette di vedere anche il cielo azzurro, il GPS segna 3950m, un ultima rampa di misto e siamo in vetta.
Incredibile!
Emersi dalla neve e dalle nuvole, Les Droites ci regalano un attimo di pace.
Condividiamo quel momento con i due ragazzi svizzeri.
Justin ci guarda e ci dice che scenderanno con noi al bivacco, proseguire sarebbe una follia.
Torniamo sui nostri passi cercando qualche calata da fare.
Il terreno è difficile, tutto rotola sotto i nostri piedi e in pochi minuti siamo nelle nebbie e sotto la neve.
Un paio di ore dopo siamo tutti e quattro seduti al bivacco invernale del Couvercle, a scaldare dell’acqua con i fornelli per bere qualcosa di caldo.
Il 59esimo 4000 è stato salito e agli altri 3 ci penseremo domani.